È in occasione di una mostra ai Frigoriferi Milanesi che Julie Polidoro ha proposto un progetto destinato a successive trasformazioni: l’artista, di madre francese e padre italiano, ha infatti cominciato allora, una dozzina d’anni fa, a creare i suoi primi «frigo», una serie di dipinti su cui continua a lavorare ancora oggi.

Di fronte a queste opere viene in mente la parola «frigidaire» perché hanno qualcosa di un po’ pop, sono insieme molto contemporanee e leggermente desuete, come disegni fatti da bambini crudeli. Questi frigo ricordano al contempo i racconti fantastici di Jules Verne, le nostre ossessioni attuali sull’alimentazione e la vita sana, e le pitture medievali in cui si incrociano angeli e demoni.

A Julie Polidoro piace maneggiare gli opposti. Nei suoi frigo raccoglie cibi che non sono necessariamente quelli che ci aspetteremmo: brandelli di animali esotici e maschere africane, conserve di frutta e cherubini, qualche costoso prodotto di marca, occhi e nasi, piedi visti dal basso che somigliano a degli ex voto.

Ci sono anche delle parole che passeggiano sulla superficie dei suoi dipinti, titoli di libri ed espressioni di tutti i giorni: «Ore invisibili», «Il tempo perduto», «L’isola del tesoro»… Queste visioni dense, spesso stridenti, allo stesso tempo buffe e violente, fanno correre il pensiero allo stile di certe opere di ‘art brut’ come quelle di Aloyse e Henry Darger o a lavori molto particolari quali sono quelli della torinese Carol Rama, che Julie Polidoro ha infatti guardato molto.

Dentro queste immagini paradossali scorgiamo ciò che è visibile e ciò che ben presto cesserà di esserlo, merci che stanno per scomparire all’interno dei nostri corpi: sono immagini nelle quali il vuoto si unisce al pieno, e la vita alla morte. A testimoniare questo avvicinamento tra opposti sono anche il contrasto tra l’opacità dei colori e le porzioni di superficie risparmiate sulla carta o sulla tela.

E come mescola le merci che stanno nei suoi frigo, così Julie Polidoro varia le tecniche: dipinge su tela e su carta, con pitture industriali a smalto, pigmenti naturali con leganti di origine animale, pastelli a olio. Questa varietà le permette di rendere alleate le tinte più intense e le cromie più sorde. E questo non è l’unico dei suoi paradossi. Se i suoi colori talvolta evocano Matisse e il Doganiere Rousseau, in lei c’è anche qualcosa della ferocia di Louise Bourgeois. Julie stessa del resto racconta di essersi nutrita di fotografie, delle immagini di Giacomelli o Depardon che ritraggono malati di mente.

Ma quando a casa apriamo lo sportello del nostro frigo ci rendiamo conto che questo oggetto banale possiede la capacità di rallentare il tempo? E tuttavia è proprio questa una delle principali preoccupazioni delle società contemporanee, largamente presente anche nei giornali da cui Julie Polidoro estrae alcune immagini pubblicitarie. Qual è lo scopo della nostra ricerca se non rallentare il riscaldamento climatico, l’invecchiamento, la nostra scomparsa?

Questi dipinti sono illusioni di oggi.

 

Anaël Pigeat